FOTOGRAFARE L'INTROSPEZIONE

Un obbiettivo insaziabile di piccoli elementi di fascinazione quotidiana, di fiori in pieno splendore vitale o scenari appesi alla loro imperturbabilità. Lo stesso che facilmente orbita sulla tensione riflessiva collegata a tre elementi, molto comuni soprattutto per chi vive in zone costiere. Sono soprattutto mare, cielo e scogli a sostenere uno dei più recenti progetti fotografici di Guido Alimento, artista dell'immagine “riportata” che ha fatto crescere la propria produzione alla luce di una ricerca figurativa seriale, rendendo più che mai contiguo a questa serialità l'inserimento espressivo di numerosi dettagli iconografici, a volte anche poco evidenti o presumibilmente privi d'efficacia iconica. 

Fotografo sperimentale, eclettico nel ricorso a soluzione espressive spesso distanti tra loro ed abile nel saturare le potenzialità dello spettro cromatico, Alimento ha per l'occasione ricondizionato su misura l'uso del bianco/nero, scelta “non solo estetica” che all'interno di tutta la sua produzione si ripresenta con ciclicità inevitabilmente costante; in questo caso assai utile a percepire quanto l'attenzione alla forma scenica per il nostro sia qualcosa di radicato nel profondo, perseguito con coscienza devozionale nei confronti del proprio lavoro. Perché difficilmente l'opera di un fotografo di polso, qual è Alimento, potrebbe non assumere pillole di saggezza alla Gianni Berengo Gardin, convenendo col maestro di Santa Margherita Ligure sull'eventualità che il colore nell'istantanea possa rappresentare un'arma a doppio taglio (nel caso di Alimento tuttavia solo in precisi casi), tendente spesso a distogliere la concentrazione sul soggetto, sempre necessaria a chi lo osserva “dall'esterno”.

Se - per dirla alla Freedberg - “il potere delle immagini” è qualcosa che prescinde il valore artistico delle stesse, l'immagine di Alimento nasce per evidente scelta ideologica, e in quanto tale è costruzione espressiva, dinamica nella sua stessa accezione di “istantanea”, auto-funzionante più che autoreferenziale. Ed è costruzione introspettiva, nella quale il complessivo e complesso rimodularsi di elementi selezionati dal fotografo condiziona precisi rimandi percettivi.

Andrea Rossetti

FOTOGRAFIA COME SCULTURA

Quello che viene proposto in questa mostra fotografica di Guido Alimento è un percorso su più livelli (visivo, concettuale e sonoro) e con molteplici chiavi di lettura, scandito dalla presenza dell’acqua.

L’artista, attraverso lo scatto fotografico, riesce a catturare la fugacità dell’attimo, creando un senso di sospensione della realtà. È come se il tempo si fermasse, trasformando in sculture eterne, figure create da elementi naturali, quali il ghiaccio o le mareggiate. Il soggetto inquadrato, pur restando riconoscibile, viene tramutato in altro: la fotografia non è semplice strumento documentativo della realtà, ma la tramuta in composizione scultorea.

La ricerca fotografica di Alimento parte dall’osservazione della natura e dei suoi mutamenti, da cui sono derivati il desiderio di celebrarne la meraviglia e la grandezza e la consapevolezza della sacralità del creato. La sensibilità dell’artista, grazie a questo rapporto di consuetudine con la natura, ha saputo cogliere, nella serie delle “sculture di ghiaccio”, come lo scioglimento di alcune stalattiti avesse scolpito forme somiglianti a figure umane e animali o a un fondale marino. A questa produzione è legata quella del mare, in cui ogni singolo fotogramma cristallizza le forme scolpite nella spuma del mare dall’incessante movimento dei flutti: figure lievi dai contorni morbidi e sinuosi generate dalla forza dell’acqua, in un gioco di antitesi e complementarità che richiama gli apparenti contrasti del Tao.

Il richiamo al mare si ripresenta negli scatti che ritraggono le edicole votive che punteggiano il tessuto urbano genovese: incorniciate da volute e ornamenti che ricreano la forma delle onde ripiegate su se stesse. Nel fitto reticolo di vicoli di Genova, in cui è negata la visuale del mare, si riesce a percepirne la presenza grazie all’insieme di suoni e odori che vi s’insinuano. Ma è il vuoto il vero protagonista di questa serie fotografica: sintomo di degrado e abbandono, simbolo di mancanza di fede e, per antitesi, richiamo alle religioni iconoclaste. Il vuoto da considerare una non-scultura che esalta la ricchezza delle cornici dei tabernacoli e si avvale di una connotazione positiva: il vuoto non è il Nulla, ma la condizione di possibilità di tutte le cose, secondo il pensiero orientale. Infatti, nell’arte giapponese si tende sempre a sottrarre qualcosa e la costruzione è intesa come delimitazione dello spazio vuoto.

Le elaborazioni digitali apportate a queste fotografie in una fase successiva, quasi un intervento pittorico, chiariscono l’interpretazione suggerita dall’artista, mettendo in risalto il messaggio vuole comunicare.

Il termine fotografia, applicato a queste opere, risulta riduttivo, poiché ricercano una sintesi di diverse espressioni artistiche (fotografia, scultura e pittura) e rivelano la natura eclettica di un artista come Guido Alimento.

Flavia Motolese

Guido Alimento sviluppa uno stile del tutto personale che fa incontrare fotografia e architettura in un connubio sinergico, giocato sull’insieme plastico delle masse. Ne deriva una riflessione a tutto tondo sulla rappresentazione iconografica di una dimensione mitologica in cui spicca soprattutto il sincretismo culturale che caratterizza i moderni flussi d’idee e li vincola alla riscoperta di un contesto storico preciso, frutto della presenza sul territorio. Quelli che l’antropologo Arjun Appadurai chiamava “ideoscapes” trovano una concretizzazione in questi scatti: si tratta di trovare un equilibrio tra i grandi schemi concettuali che oggi viaggiano a livello globale e l’esperienza dei singoli, ma in questo campo qualsiasi compromesso può essere solo transitorio perché, proprio come avviene nella tradizione pittorica, i colori e le ombre svolgono un ruolo fondamentale nel congelamento del momento dinamico e nella conseguente costruzione di significato. Le ripercussioni di tale processo semantico sono evidenti in questa serie, nel quale l’estetica minimalista si focalizza sul tema dell’onda, simbolo proteiforme del mutamento in tutte le sue declinazioni: le opere toccano la sfera del trascendente e quella dell’umano: come in un kôan zen, si deve guardare all’aspetto nascosto dei fenomeni visibili. In questo senso si configura una possibile interpretazione della fertilità terrena, intimamente legata alla spiritualità; ad esempio in molti pantheon il mare e le divinità condividono lo stesso tipo di linee curve e morbide e le tonalità azzurre sporcate dal contatto con l’atmosfera inquinata della città. Lo smog e la fretta della nostra routine spesso celano piccole perle dimenticate e l’obiettivo ha il compito di riportarle alla luce. L’interiorizzazione delle immagini sintetizza la lezione del realismo mediato dall’urgenza naïf e, passando per la percezione scientifica della luce, influenza dal background soggettivo e l’unicità espressa da un ironia che ricorda l’immediatezza dei graffiti di Basquiat: l’artista si muove controcorrente, distinguendosi dal rumore generale che graffia lo schermo nero della coscienza e rielaborando gli stimoli esterni in una continua interazione tra Natura e Società.

 Elena Colombo

EFFETTO METAMORFOSI

[...] Pare riduttivo descrivere la produzione di Guido secondo una parabola sovrapponibile a quella della sua cultura tuttavia arricchita specialmente da viaggi in terre lontane: in Asia per misurarsi con civiltà e filosofie e in America alla ricerca di segni e tecniche. Piuttosto, simili interessi si sono sostanziati in una gamma di suggestioni, accanto agli altri svariati apporti che ritmano con intensità progressiva le passioni di questo artista approdato ad esiti plurisensoriali. Il fare di Guido si presta dunque a molteplici letture, tutte egualmente giustificate dall'eleganza della sua pretesa rinuncia a uno stile personale. In effetti, questa abdicazione si riduce ad apparenza grazie ad un'altra abilità, ovvero la capacità di formulare le proprie idee e di commentarne gli esiti. Si genera così una gara - non si sa quanto involontaria - con I'interpretazione del critico. Per quanto riguarda chi scrive, volentieri si accoglie I'implicito invito a percepire facoltativo il proprio apporto, riassorbito entro la più ampia reazione del pubblico.[...]

Prof. Antonio Musiari